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martedì 12 marzo 2013

DONNA & CREATIVITA'



Per tutti "CREATIVITA'" è diventata una parola di uso quotidiano, spesso applicata proprio alla cosiddetta “creatività femminile”, eppure è entrata nel lessico comune solo a partire dagli anni ’50 quando sono iniziati anche in Italia gli studi sulla Creatività come processo cognitivo. Dante o Michelangelo non si sarebbero mai definiti dei creativi, perché la facoltà di creare era prerogativa esclusiva della divinità.
Eppure se ci facciamo guidare proprio dalle parole ed andiamo un po’ più in profondità, possiamo trovare che il verbo “creare” ed il verbo “crescere” hanno in comune la stessa radice, dal sanscrito KAR, che rimanda all’idea di “fare, formare, generare, far crescere,...”
La creatività è quindi “la capacità, posseduta da ogni individuo, che permette di produrre qualcosa di nuovo”, attivando le sinapsi in percorsi cognitivi inesplorati.
Evitiamo un fraintendimento: essere creativi non significa essere bizzarri, anticonformisti, trasgressivi a tutti i costi, significa piuttosto guardare l’eredità della tradizione con occhi nuovi, rielaborarla per dare alla luce un’innovazione permanente, e come sintetizza magistralmente Roberto Benigni, creativo è chi sa “trasformare la banalità in bellezza”.
L'essenza della creatività è dunque trovare solide fondamenta per nuove prospettive, guardare al Vecchio per scoprire il Nuovo, e forse è una formula magica che potrebbe risultarci utile in questi tempi confusi. Le donne lo fanno da sempre ed oggi ci stanno mostrando come si fa.
Ce lo mostrano nell'Arte più che in altri settori, dove ormai le studentesse delle accademie, ma anche critici e dirigenti museali sono sempre più ruoli declinati al femminile, tanto che si prevede che Camille Claudel o Frida Kalho non rimarranno più nomi isolati nella storia dell'arte dei secoli a venire.  E poiché anch'io condivido l'opinione di chi sostiene che ogni epoca compensa nell'Arte ciò che manca nella società, trovo scintille di verità in questa frase di Susanna Tamaro:
“Questa società così fredda, così necrofila, così impaurita, così cinica – e allo stesso tempo così travolta dalle sbornie del sentimentalismo – ha paura dello spirito femminile perché questo spirito, che è concreto, attivo, la spingerebbe in una direzione opposta. Tornare alla nostra vera natura vuol dire rimettere al centro dei nostri giorni una forza armata di dolcezza.”
E' una forza che ha il colore dell'oro.

DONNA & LAVORO



Quando si parla di LAVORO femminile, sarebbe più corretto parlare di “LAVORI” perché il singolare è improprio. Le attività quotidiane in cui le donne si spendono da sempre, sono plurali: lavoro pagato e non pagato, lavoro familiare e di cura, lavoro per l'autoconsumo nelle attività agricole, lavoro produttivo in fabbrica o in ufficio, lavoro a domicilio, lavoro precario...
“Pensare ed agire al plurale” porta una serie di vantaggi immediati: grande reattività, maggiore adattabilità, flessibilità strategica e soprattutto la possibilità di assumere funzioni polivalenti evita la prigione di un unico ruolo, che ahimè, spesso è il destino di molti uomini.
C'è anche un altro prezioso vantaggio che si realizza quando si pensa e si agisce al plurale come fanno molte donne, ed è quello di allenare l'occhio e l'anima a discriminare tra similitudini e differenze. Nella ripetizione dei gesti richiesti dal lavoro quotidiano risulta più facile allora scorgere gli indizi di originalità, le variazioni che rallegrano, i dettagli da cui nasce la bellezza.
La tradizione millenaria del ricamo o della decorazione su porcellana, solo per citare due esempi, sono testimonianza evidente di come dallo stato di bisogno le donne sappiano trarre armonia e splendore, di quanto l'abilità manuale femminile sappia tradurre la difficoltà materiale in levità.
I lavori delle donne hanno sempre una scia di colore bianco.

DONNA & NATURA


Sappiamo che l'abilità di riconoscere fiori, piante e frutti, di curarli e coltivarli si associa al femminile fin dall'alba dei tempi, tanto che gli studiosi ci dicono che furono le donne le prime ad inventare l'agricoltura, mettendo letteralmente a frutto l'osservazione dell'ambiente e la capacità di sperimentare che ben le caratterizza.
Il patrimonio mitologico di tutto il mondo ci porta memoria di questo rapporto privilegiato tra donna e natura, raccontandoci di una divinità femminile primordiale che nella capacità di generare  incarna la mediazione tra l'umano e il divino.
La ritroviamo nel mito della Madre Terra, nella divinizzazione del regno vegetale  che è Madre Natura, e in ogni espressione dell'archetipo della Grande Madre che dal Neolitico continua a riproporsi in varie forme.
Esempi sorprendentemente simili si hanno con la dea Cibele in area anatolica, Gea nell'area Greca, la Mater Matuta degli Etruschi, la Matka Ziemia dei popoli slavi e così via in tutte le civiltà, fino alla Pachamama degli Inca, la Madre Terra a cui ancora oggi le popolazioni andine tributano riti di restituzione del nutrimento che essa fornisce all'umanità.
Non stupisce dunque che nel momento in cui una donna si accinge a creare arte rivolga il suo sguardo alla Natura, perché è ciò che le è più simile, vicino e familiare. Tuttavia queste testimonianze antiche ci dicono che sarebbe semplicistico banalizzare questo sguardo pensando che sia influenzato esclusivamente dalla quotidiana frequentazione con il mondo vegetale, perché si tratta piuttosto di uno sguardo sacro che sa riconoscere il dono della bellezza divina del Cosmo e celebrarlo.
Le donne vedono i colori della Natura e non vedono solo il verde.